#iorestoacasa con Wonder! – 1° settimana

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LA LUPA CAPITOLINA

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La Lupa Capitolina è uno dei simboli più conosciuti di Roma e del popolo Romano. Non tutti sanno però che la grande scultura in bronzo, in realtà, non è opera dei Romani. Gli autori sono infatti gli artigiani Etruschi e la lupa divenne un simbolo della civiltà romana solo molto tempo dopo essere stata realizzata (490-480 a.C. circa). Il lupo era un’animale venerato dalla religione etrusca ed era legato a diverse divinità: il dio Aita indossava una pelle di lupo, e il dio Soranus invece aveva il lupo come animale sacro. Ulteriore conferma del fatto che la Lupa Capitolina originariamente non aveva niente a che fare con il mondo romano, viene dal fatto che il gruppo scultoreo nasce in realtà con la sola lupa. Solo nel Rinascimento vengono aggiunti i due gemellini, Romolo e Remo, poiché l’opera si prestava benissimo a rappresentare le mitiche origini di Roma.

Sappiamo che la statua intorno al X secolo era esposta come simbolo della giustizia nel palazzo del Laterano, la residenza del Pontefice, per attestare la continuità tra Impero romano e papato.
Nel 1471 papa Sisto IV della Rovere donò la scultura al popolo romano e per questo si decise di spostarla in Campidoglio. È proprio in questa occasione che vengono aggiunti i gemellini, attribuiti alla mano di Antonio del Pollaiolo.

La scultura è oggi conservata nei Musei Capitolini e gli è dedicata un’intera stanza. La lupa è imponente, quasi a grandezza naturale. Ha un impianto statico ma al tempo stesso esprime dinamismo, poiché il corpo è attraversato da una forte tensione che culmina nello scatto della testa dell’animale, che si gira velocemente verso le spettatore. La lupa appare così con le orecchie dritte, le fauci aperte a scoprire i denti e gli occhi sbarrati, nella tipica attitudine di un animale in guardia. Si fa così espressione di un dinamismo eccezionale per l’epoca, presente in quasi nessun altro esempio a questo contemporaneo.

IL PALAZZETTO DEI BORGIA e IL VICOLO SCELLERATO

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Più o meno a metà di Via Cavour, in prossimità della fermata della metro B, possiamo ammirare un scalinata molto suggestiva che culmina in un passaggio sotto l’arco di un palazzo. La scalinata è quella che conduce alla chiesa di San Pietro in Vincoli e il palazzo sotto cui passa fu la residenza dei Borgia o, per meglio dire, dell’amante di papa Alessandro VI Borgia, Vannozza Cattanei. La bellissima nobildonna mantovana assai scaltra viveva qui con figli illegittimi del pontefice, Cesare, il celebre “Valentino”, Lucrezia, Giovanni e Goffredo. L’edera ricopre gran parte del palazzo, rendendo il luogo incantevole e nascondendo alla vista il bel balconcino rinascimentale, dal quale la leggenda vuole che una fanciulla si affacciasse spesso, forse Lucrezia o forse la stessa Vannozza.

Il vicolo è ricordato anche come vicus sceleratus” ossia vicolo scellerato, in quanto fu teatro di un orrendo fatto di sangue. Dobbiamo tornare molto indietro nel tempo, all’epoca dei Romani, e più precisamente quando Servio Tullio era re di Roma. Il re aveva due figlie, la maggiore delle quali, Tullia Maior, moglie di un certo Arunte, diventò però l’amante del cognato Lucio, marito della sorella Tullia Minor. Tullia Maior, donna spietata e ambiziosa, organizzò un complotto che portò all’uccisione, proprio in questo vicolo, del marito Arunte, della sorella Tullia Minor e anche del padre, il re. La donna era talmente priva di pietà che addirittura passò sopra i corpi dei suoi familiari con una carro per accertarsi della loro morte. L’appellativo di vicolo scellerato non potrebbe essere più calzante!

Chissà se la presenza di Tullia Maior aleggiava in questo luogo tanto da avere un qualche influsso su Lucrezia Borgia, considerata da molti come una delle donne più sciagurate dell’età moderna?

SAN MATTEO E L’ANGELO – CARAVAGGIO

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La celebre opera di Caravaggio si trova al centro della cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi a Roma e fa parte del ciclo pittorico dedicato a San Matteo. Il dipinto rappresenta il santo che riceve l’ispirazione divina per scrivere il suo Vangelo e questa ispirazione gli arriva direttamente da un angelo. Di questo dipinto però Caravaggio dovette realizzare due versioni, poiché la prima non venne accettata dalla committenza.

Nella prima edizione dell’opera infatti, quella che vedete nella parte sinistra della foto qui sotto, l’angelo si trovava troppo vicino al santo, addirittura gli teneva la mano guidando fisicamente la scrittura del Vangelo. In questo modo Matteo appariva quasi come un analfabeta, non in grado di scrivere un testo sacro se non con un aiuto. Ovviamente una tale interpretazione di uno degli evangelisti non poteva essere accettata. Caravaggio in realtà, seguendo il naturalismo proprio del suo stile pittorico, aveva deciso di rappresentare il santo come l’uomo semplice e molto probabilmente analfabeta quale era, nella maniera più vicina alla realtà possibile . Altro particolare che proprio non era andato bene alla committenza era quell’angelo, dalle fattezze un po’ troppo effeminate e un po’ troppo sensuali per essere un messaggero di Dio.

Come molto spesso accadeva quindi, l’artista dovette piegarsi al volere della committenza e cambiare l’opera. In questo caso decise di crearne una completamente  nuova e diversa: questa volta l’angelo arriva da Matteo ma rimane a distanza, indicando con le dita le cose che gli sta raccontando per aiutarlo nella scrittura del testo sacro. Matteo assume una posa molto particolare, con un ginocchio sullo sgabello, quasi in bilico, come se si fosse appena accorto dell’arrivo dell’angelo e si fosse girato all’improvviso per guardarlo. In questa nuova versione il santo appare, come possiamo vedere, in una veste molto più consona e degna dell’importanza della sua persona.

La prima versione del San Matteo e l’angelo possiamo purtroppo conoscerla solo tramite delle ricostruzioni poiché è andata distrutta durante la seconda guerra mondiale, quando si trovava a Berlino presso il Kaiser Friederich Museum.

Vi aspettiamo nella nostra visita “I luoghi di Caravaggio” per ammirare dal vivo quest’opera meravigliosa e le altre del Caravaggio presenti nelle chiese romane!

L’OROLOGIO AD ACQUA DEL PINCIO

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Passeggiando per i viali alberati di Villa Borghese, se facciamo un po’ di attenzione, potremmo incontrare questa straordinaria opera di ingegneria, a pochi passi dalla Casina Valadier. Si tratta dell’unico esemplare presente a Roma di idrocronometro, un orologio ad acqua. Questa meraviglia è opera di un frate domenicano, Giovanni Battista Embriaco che lo realizzò nel 1867.

Tale era l’invenzione che decise di mandarne anche un prototipo a Parigi per l’Esposizione Universale. L’orologio funziona solo con la forza dell’acqua che, scendendo dall’alto, riempie alternativamente due bacinelle, simili ai piatti di una bilancia, provocando un movimento che fa muovere il pendolo scandendo così il tempo. Un marchingegno eccezionale ancora oggi funzionante!

L’orologio fu posto nella villa romana nel 1873 e l’ambientazione perfetta per custodirlo fu creata dall’architetto di origini svizzere Gioacchino Ersoch, che decise di collocare l’orologio all’interno di una torretta realizzata in ghisa, chiusa da pareti di vetro e sormontata da quattro quadranti d’orologio. La torretta è quindi posta su di un isolotto in mezzo ad un laghetto: uno scrigno naturale per questa particolarissima invenzione! La folta vegetazione che circonda il laghetto crea un’ambientazione quasi amena, che ci trasporta in un’altra dimensione, lontana dal caos cittadino e in un epoca senza tempo, quasi magica.

Vi aspettiamo nella nostra passeggiata a Villa Borghese per ammirare dal vivo lo splendido orologio ad acqua e le altre opere nascoste tra i viali.

LA PORTA MAGICA DI PIAZZA VITTORIO

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Quante volte saremmo passati per piazza Vittorio Emanuele o nelle sue vicinanze? Probabilmente centinaia di volte, ma forse in pochi sanno che proprio lì, all’interno della piazza, si trova la cosiddetta Porta Magica, o Porta Alchemica. La porta è l’unica rimanente delle cinque porte che conducevano all’antica Villa Palombara, costruita da Massimiliano Palombara, marchese di Pietraforte, intorno alla metà del ‘600. La villa venne poi distrutta agli inizi dell’800 per far posto alla piazza che ancora oggi è presente. Era la sua villa suburbana, fuori città; ebbene si, perché questa zona di Roma all’epoca era fuori dalle mura e considerata quindi campagna. Il marchese era un appassionato di alchimia, interesse questo che aveva coltivato passando molto tempo alla corte di Cristina di Svezia. La regina infatti, dopo aver abdicato si era trasferita a Roma presso palazzo Riario, oggi Palazzo Corsini, sito in via della Lungara.

La leggenda racconta che il marchese ospitò presso la sua Villa Palombara un viandante, un pellegrino dall’aspetto misterioso, forse un tale Francesco Giuseppe Borri, anche lui dedito ai riti alchemici. L’uomo sembra stesse cercando di tramutare alcune sostanze in oro. Una notte però scomparve, tanto misteriosamente come quando era comparso, forse dissolvendosi proprio attraverso questa magica porta e lasciando dietro di sé solo una pagliuzza d’oro e delle carte con su scritte alcune formule alchemiche. Le formule ritrovate su questi fogli vennero considerate da alcuni le istruzioni per la realizzazione della pietra filosofale, la mitica pietra in grado di donare la vita eterna. Tali formule vennero fatte incidere sul frontone e sulle cornici delle porte della villa dal marchese.

IL SEPOLCRO DI ANNIA REGILLA NEL PARCO DELLA CAFFARELLA

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Il parco della Caffarella fa parte del grandissimo Parco Regionale dell’Appia Antica e al suo interno, passeggiando per le sue meravigliose distese verdi, possiamo trovare reperti archeologici, testimoni di una storia antica. Tra questi merita attenzione il sepolcro di Annia Regilla, anche conosciuto come Tempio del Dio Redicolo. Quest’ultimo appellativo gli venne dato probabilmente durante il medioevo poiché l’edificio si trova lungo la strada che un tempo collegava la via Appia alla via Latina. Qui, secondo un’antica leggenda, si trovava il “campus rediculi”, un luogo sacro al dio Redicolo, colui che proteggeva i Romani che tornavano nella loro città.

L’edificio è comunemente conosciuto come il sepolcro di Annia Regilla, nobildonna romana morta prematuramente nel 160 d.C.. La donna era la moglie del famosissimo e ricchissimo Erode Attico, precettore del futuro imperatore Marco Aurelio, che fece costruire il sepolcro in onore della defunta consorte. L’identificazione dell’edificio viene da alcune iscrizioni che riportano il nome Regilla ritrovate nella vicina tomba di Cecilia Metella e nel comprensorio della basilica di San Sebastiano, anch’esso nelle vicinanze.

L’esterno è elegantemente decorato tramite una bicromia ottenuta dall’utilizzo di laterizi di differenti colori, giallo per le pareti e rosso per gli ornamenti architettonici (colonne, architrave, cornici…). L’interno è diviso in due livelli, una camera superiore utilizzata per le cerimonie commemorative, una camera inferiore che costituiva il sepolcro vero e proprio.

Con noi, nella nostra passeggiata guidata nel parco della Caffarella potrete ammirare questo piccolo gioiello.

LA CASA DEI MOSTRI

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Avete presente la chiesa di Trinità dei Monti? Quella che sta in cima alla scalinata di Piazza di Spagna? Bene, da lì, scendendo lungo via Sistina verso piazza Barberini troverete un palazzetto molto curioso. Era la residenza di due famosi fratelli artisti, Taddeo e Federico Zuccari, pittori attivi nella Roma della metà del ‘500. Il palazzetto è anche conosciuto come “casa dei mostri” e per capirne il motivo dobbiamo ammirare la facciata e il portone che danno su via Gregoriana. Ci troviamo di fronte ad un portone che si apre nella bocca di un mostro spaventoso e che sembra portarci in luogo oscuro ma interessante. Il naso come la chiave di volta al centro dell’arco d’ingresso, le guance come la cornice del portone, gli occhi e le sopracciglia come il timpano immaginario che culmina in alto nello stemma familiare. Ad aumentare l’atmosfera stravagante sono le finestre ai lati del portone, anche queste realizzate come se si aprissero all’interno della bocca di due mostriciattoli, versioni in miniatura del mostro che sta di guardia all’ingresso.

L’idea di Federico Zuccari era quella di spaventare ma allo stesso tempo sbalordire il visitatore, che si sarebbe così sentito intimorito nell’entrare nel palazzo, ma sarebbe stato poi stupito dalla bellezza della decorazione interna e dall’incanto del giardino.

Federico fece costruire il palazzo intorno al 1592 e possiamo ipotizzare che una certa parte dell’ispirazione per la realizzazione di questa facciata della sua residenza gli sia venuta dal parco dei mostri che pochi anni prima, tra il 1560 e il 1586, Pirro Ligorio aveva ideato e costruito per il principe Pier Francesco Orsini nei pressi di Viterbo, il parco di Bomarzo.

Alla morte di Federico, nel 1609, egli avrebbe voluto che il palazzo diventasse una residenza per artisti, ma i suoi eredi lo vendettero ad un certo Toscanella che lo fece ingrandire.

Nel 1904 il palazzo venne acquistato da Enrichetta Hertz, che raccolse qui un’importante collezione di opere d’arte e una ricchissima biblioteca. Così, in un qualche modo, il volere di Federico di destinare questo luogo all’arte e alla cultura venne compiuto. Alla sua morte la Hertz lasciò la collezione di quadri allo Stato Italiano, il quale la spostò nel Museo di Palazzo Venezia, e dispose che l’edificio e la biblioteca andassero invece al governo tedesco per istituire qui un centro di studi: nacque così la Biblioteca Hertziana, ancora oggi esistente.

IL GIUDIZIO UNIVERSALE DI PIETRO CAVALLINI

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Avete mai visitato la chiesa di Santa Cecilia in Trastevere? Beh, se non l’avete mai vista andateci, anzi, veniteci con noi! Oggi però non parleremo della chiesa ma di un gioiello pittorico che questo luogo custodisce: l’affresco di Pietro Cavallini che raffigura il Giudizio Universale. Per ammirarlo dobbiamo citofonare nel vicino convento delle suore e salire con un ascensore al primo piano. Qui possiamo accedere al coro delle monache e stupirci davanti alla bellezza di questo affresco rimasto quasi intatto.

Il Cavallini aveva realizzato il suo giudizio universale per la controfacciata della chiesa ma nel ‘500 l’affresco venne coperto per costruire il coro delle monache. Rimase così nascosto per più di 400 anni, fino a quando, nel 1900, durante i lavori di demolizione del coro, venne alla luce. L’essere stato nascosto per tutto questo tempo ha preservato la sua bellezza dalla rovina del tempo, conservandolo in condizioni ottime, nonostante sia mancante di alcune parti. Ciò che rimane è il Cristo, seduto in trono, affiancato da Maria e S. Giovanni Battista, e circondato dalle schiere di angeli e dai dodici apostoli, sei per lato.

Entrando nell’ambiente siamo subito colpiti da quello che ci troviamo di fronte, poiché essendo l’affresco realizzato all’altezza del coro, possiamo ammirarlo a pochi metri di distanza, possiamo quasi immedesimarci nel Cavallini mentre lo stava realizzando!

Lo spettatore è sicuramente colpito dai vividi colori dell’affresco, colori attraverso i quali l’artista sembra costruire le forme. Straordinari sono gli angeli, che con le loro ali rappresentano una delle più belle espressioni dell’arte medievale romana, difficili da dimenticare con il loro cromatismo che impressiona lo spettatore per l’intensità e la forza.

Non siete curiosi di vederli dal vivo con noi? Vi aspettiamo presto!

IL TEATRO DI VILLA TORLONIA

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I parchi di Roma nascondono tantissimi segreti ed uno dei più belli da visitare è sicuramente il parco di villa Torlonia, situato nel centro di Roma, vicino la via Nomentana. Sicuramente lo conoscerete per la presenza della stravagante Casina delle Civette, ma forse non tutti sanno che tra gli edifici presenti nella tenuta c’è anche un teatro. Il parco era uno dei possedimenti fuori porta della famiglia Torlonia e la destinazione di villa di campagna fa di questo un luogo di svago e di divertimento. Nasce per questo nasce l’idea di realizzare all’interno della tenuta un teatro.

Il teatro è il dono di nozze che il principe Alessandro Torlonia regala alla moglie Teresa Colonna, sposata nel 1841. Il progetto del teatro è estremamente ambizioso, pensate che doveva essere al tempo stesso un teatro, degli appartamenti ed una facciata a serra. L’edificio è costituito da un corpo centrale, il teatro vero e proprio, e da due ali laterali, ossia gli appartamenti, maschile da un lato e femminile dall’altro. Il progetto originario prevedeva addirittura un marchingegno che avrebbe permesso al palcoscenico di sollevarsi fino al piano degli appartamenti. In questo modo avrebbe costituito un grande e unico ambiente dove si potevano tenere le feste private dopo gli spettacoli, con gli amici della famiglia che avevano assistito alle rappresentazioni. Purtroppo questo meccanismo non è mai stato realizzato, a causa dei molti rallentamenti subiti dalla costruzione del teatro a seguito delle vicissitudini familiari.

C’era poi la meravigliosa serra, un unicum nel panorama italiano dell’epoca anche per i materiali utilizzati, ossia vetro e ghisa. La serra era pensata come luogo dove gli amici e spettatori potevano passeggiare e sgranchirsi le gambe tra un tempo e l’altro degli spettacoli.

La volta del teatro è decorata con il dio Apollo, circondato dalle rappresentazioni femminili delle dodici ore, su modello di Raffaello.

Questi meravigliosi luoghi hanno subìto anni di degrado, soprattutto quando, tra il 1944 e il 1947, le truppe americane si sono stanziate qui, utilizzando le sale agli usi dell’esercito, oltretutto rompendo e rubando molte cose. Nel 1978 la villa venne finalmente acquistata dal comune di Roma, che cominciò però i lavori di restauro solo nel 1995. L’ultimo restauro, in particolar modo, ha restituito l’antico splendore a questo gioiello della nostra città.

 

 

 

 

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