#iorestoacasa con Wonder! – 2° settimana

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L’ANTICO CAFFE’ GRECO

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A Roma ci sono moltissimi luoghi che rievocano ricordi di un passato glorioso che ha segnato in maniera indelebile la storia. Uno di questi è sicuramente l’Antico Caffè Greco. Chiunque sia stato a Roma è passato qui davanti almeno una volta, perché si trova all’inizio di via dei Condotti, al civico 86. Quando si entra in questo antico caffè è come essere trasportati indietro nel tempo: ci si sente immersi in un luogo senza tempo, che ha mantenuto intatte le sue sale, quelle stesse sale che hanno ospitato alcune tra le personalità più importanti del nostro tempo, dal 1760 ad oggi.

Il caffè venne fondato nel 1760 da un tale Nicola della Maddalena, e costituisce il secondo più antico caffè d’Italia, dopo il Florian di Venezia. L’appellativo di Greco viene forse dal fatto che il Maddalena era di origine greca, o forse dal fatto che il caffè veniva decantato alla maniera greca o turca, e non filtrato alla maniera italiana.

I caffè nascono in Europa già nel ‘600 come piccole botteghe ma è nel ‘700 che diventano centro della vita cittadina. Qui intellettuali, artisti e letterati si incontravano, scambiandosi idee: è in questi luoghi che le idee illuministe nascono e cominciano a diffondersi.

Nell’Antico Caffè Greco hanno passato il loro tempo il pittore Giorgio De Chirico, che era solito bere un cappuccino, il filosofo Schopenhauer, che veniva qui insieme ad un barboncino che chiamava Atma, ossia Anima del Mondo. E’ proprio qui che Gogol’ scrisse parte della sua opera “Anime Morte“, ma non possiamo dimenticare altri che qui sono passati: scrittori come Goethe, Lord Byron, D’Annunzio e Leopardi, James Joyce e Thomas Mann, il compositore Wagner, e uno dei poeti del nostro tempi, Pier Paolo Pasolini. I poeti romantici inglesi in viaggio di studi a Roma passavano molto del loro tempo in questo caffè, magari dopo essere andati in giro per la città ad ammirare le rovine dell’antica Roma.

E’ grazie all’arredamento ottocentesco e ai moltissimi quadri e cimeli storici qui conservati, testimonianza di una storia fatta di arte, letteratura, filosofia e grandi personalità, che qui possiamo respirare un’atmosfera di altri tempi.

L’OSTESSA GARBATA

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La Garbatella è uno dei rioni storici di Roma e nasce all’inizio degli anni ’20 del ‘900 nella zona dei colli di S. Paolo. Nasce come quartiere operaio, per ospitare gli operai che lavoravano nell’area industriale dell’ostiense.

Ma qualcuno di voi sa perché si chiama Garbatella?

Come molto spesso accade, ci sono diverse ipotesi al riguardo. Un bassorilievo che possiamo trovare tra le stradine del rione ce ne racconta una. Pare che, tra le molte osterie che ogni sera si riempivano di gente, ce ne fosse una, situata in via delle Sette Chiese, la cui proprietaria era una certa Clementina Eusebi, che portava avanti l’attività insieme ai figli dopo la morte del marito. Clementina era un’ostessa particolarmente gentile e dai modi molto garbati, e proprio dal suo essere tanto garbata sarebbe venuto l’appellativo Garbatella.

L’altra ipotesi, molto meno suggestiva ma forse più attendibile, riferisce il termine Garbatella ad un particolare tipo di coltivazione dell’albero della vite, molto diffusa in questa zona collinare, all’epoca situata poco fuori Roma. Il metodo era stato introdotto da Monsignor Nicolai, agronomo proprietario di una tenuta in questa zona, la Tenuta dei 12 Cancelli. Il metodo prevedeva che le piante della vite fosse appoggiate ad alberi d olmo o di acero, e veniva chiama “a barbata” oppure “a garbata”. Da questa definizione deriverebbe l’appellativo Garbatella.

A voi la scelta dell’ipotesi più interessante!

Nella nostra visita guidata della Garbatella potrete scoprire tutti i segreti e le meraviglie nascoste in questo quartiere stupefacente, che piano piano negli ultimi anni sta venendo valorizzato sempre più.

LA FONTANA DELLE TARTARUGHE

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La fontana delle tartarughe si trova in Piazza Mattei nel ghetto ebraico di Roma. È un po’ nascosta rispetto alla zona più centrale e conosciuta, quella intorno al portico d’Ottavia, ma facilmente raggiungibile. La fontana domina la piazza che prende il nome dal palazzo che su di essa si affaccia, palazzo Mattei.

Sicuramente tanti di noi conoscono questo luogo ma forse non tutti sanno la storia che riguarda la costruzione della fontana. La leggenda narra che uno dei duchi Mattei era una giocatore incallito ed in una notte di bagordi perse una grossa somma di denaro. La perdita però gli costò molto di più. Il futuro suocero, infatti, si rifiutò di dare la figlia in sposa ad un uomo così poco affidabile. Il duca allora, deciso a non perdere la sua credibilità e la futura moglie, decise di organizzare un ricevimento che durò fino all’alba nel palazzo in piazza Mattei e di invitare anche il suocero. Nel corso della nottata fece costruire la fontana e al mattino invitò il suocero ad affacciarsi alla finestra mostrandogli cosa era in grado di realizzare un Mattei in una sola notte! In questo modo ebbe di nuovo in dono la mano della futura moglie e in ricordo dell’episodio decise di far murare la finestra del palazzo che dava sulla piazza.

La fontana prende il nome dalle tartarughe che decorano il bordo del catino superiore, ma queste in realtà vennero aggiunte solo nel 1658. Le tartarughe risalgono a dei lavori di restauro voluti da papa Alessandro VII che incaricò Gian Lorenzo Bernini della realizzazione.

La fontana viene ricordata anche perché le tartarughe in questione hanno avuto diverse disavventure. Sono infatti scomparse più volte, ma fortunatamente sempre ritrovate. Quelle che vediamo oggi sulla fontana sono però solo una copia mentre le originali sono conservate ai Musei Capitolini, forse proprio per difenderle dalla loro sorte vagabonda!

SANTA SABINA ALL’AVENTINO

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Oggi siamo sul colle Aventino, quello conosciuto da tutti per il Giardino degli Aranci e per il famoso buco della serratura da cui si vede San Pietro. Poco conosciuta è invece la bellissima chiesa di Santa Sabina, e ancora meno lo sono i segreti che essa nasconde.

La basilica di Santa Sabina fu fondata dal sacerdote Pietro d’Illiria nel 425 d.C. durante il pontificato di papa Celestino I. Rappresenta dunque una delle chiese paleocristiane più antiche di Roma. La struttura ha subìto molti rimaneggiamenti nel corso dei secoli ma conserva ancora particolari dell’epoca.

Ma procediamo con ordine.

Ci troviamo proprio nella piazzetta da cui si accede, sulla destra, al giardino degli Aranci, che infatti si chiama piazza Pietro d’Illiria, dal fondatore dell’edificio di culto. Di fronte a noi troviamo la chiesa di Santa Sabina, per l’esattezza il fianco destro della chiesa: l’accesso è stato infatti modificato rispetto all’originario, quindi ora vi possiamo entrare tramite un portale laterale.

Se però, invece di entrare, proseguiamo alla nostra sinistra, ci ritroveremo in quello che era il portico di accesso alla basilica, un atrio con colonne romane. Di fronte a noi avremo agli antichi portali di accesso alla chiesa, ora chiusi. Uno dei portali, quello più in fondo, è un portale ligneo originario del V secolo, in legno di cipresso. Pensate che rappresenta l’unico monumento di questo genere conservato a Roma! È decorato da 18 formelle intagliate , delle 28 originarie, che raffigurano scene dell’Antico e del Nuovo Testamento.

Tra queste, in particolar modo, ce n’è una raffigurante Cristo in croce tra i due ladroni. Niente di nuovo, penserete tutti. E invece qualcosa di nuovo c’è e come! Questa formella è la più antica rappresentazione plastica della Crocifissione di Cristo conservata al mondo. Non abbiamo nessun altra opera di questo genere prima di questa data.

Come potete vedere, Roma è piena di segreti da scoprire, ad ogni angolo se ne trovano di nuovi!

Seguiteci nelle nostre visite e li scopriremo insieme.

L’OBELISCO DI ANTINOO AL PINCIO

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Roma è costellata di obelischi ed è la città che ne conserva il maggior numero al mondo. La maggior parte venne portata dall’Egitto quando questo divenne una provincia del principato con l’Imperatore Augusto.

Ogni obelisco ha la sua storia, ed una particolare che merita di essere raccontata è quella che riguarda l’obelisco del Pincio. L’imperatore Adriano lo fece erigere in onore del suo amato Antinoo, una giovane bellissimo originario della Bitinia, una regione dell’Asia Minore, nel territorio dell’attuale Turchia. Adriano era talmente innamorato del giovane che quando Antinoo morì, annegando nelle acque del fiume Nilo, forse per salvare lo stesso imperatore, decise di divinizzarlo. Adriano fece realizzare moltissime statue che raffiguravano il giovane e nella sua villa fuori Tivoli fece costruire un edificio che lo ricordasse, l’Antineion. Addirittura gli venne dedicata una città, Antinopoli. In onore di Antinoo e del suo amore per il giovane fece erigere questo obelisco, che venne decorato con geroglifici che raccontano la sua storia fino alla morte. Un dono per ricordare in eterno l’amore che li aveva legati.

L’obelisco, in granito rosa, venne quasi sicuramente realizzato da artigiani romani, e non da scribi egizi, e per questo commisero degli errori nella realizzazione dei geroglifici, rendendone la traduzione più difficile.

Il manufatto marmoreo si trovava originariamente in Egitto ma poi Adriano lo fece trasferire nella sua villa di Tivoli.

Quando il cristianesimo divenne religione dell’impero la figura del dio Antinoo venne condannata alla “damnatio memoriae”, vennero quindi distrutte le immagini che lo ritraevano come divinità. L’obelisco però era stato inciso con i geroglifici e per questo non venne decodificato. Rimase così celata la sua dedica ad Antinoo e per questo risparmiato dalla distruzione.

Solo nel 1822, per volere di papa Pio VII, venne innalzato sulla terrazza del Pincio.

 

 

 

 

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